di Salvo Barbagallo
All’anniversario del referendum ritenuto illegale dal Governo centrale, la Catalogna non molla e scende in piazza reclamando il suo diritto all’indipendenza. Scontri tra agenti di polizia e separatisti si sono verificati nel centro di Barcellona contro la marcia indetta dalle forze dell’ordine spagnole per chiedere un aumento di paga. La protesta era prevista: si temevano tensioni dopo che era stato cancellato l’omaggio agli agenti intervenuti contro la celebrazione del referendum sull’indipendenza del primo ottobre scorso. Per molte ore si è scatenata una guerriglia a colpi di manganello e polveri colorate: alcuni militanti si sono scontrati con un corteo di nazionalisti e Guardia Civil, mentre la polizia catalana, i Mossos d’Esquadra, per tenerli lontani ha caricato gli indipendentisti, lasciando sulle strade contusi e feriti. Già nella giornata di ieri, vigilia dell’anniversario, diversi gruppi indipendentisti si erano riuniti in piazza San Jaume per celebrare il referendum e opporsi al corteo nazionalista. Molti manifestanti hanno espresso ai giornalisti la loro indignazione per la convocazione di un “omaggio alla violenza poliziesca” proprio nell’anniversario del referendum indipendentista, affermando di non comprendere il perché la manifestazione fosse stata autorizzata.
È la prima protesta con grande partecipazione da quando l’ottobre scorso il referendum organizzato dal governo regionale – e considerato illegale dal governo e dal massimo tribunale spagnolo – aveva portato alla richiesta formale di Indipendenza, e poi allo scioglimento del governo regionale per mano del governo nazionale e alle accuse di sedizione e ribellione verso i politici indipendentisti, che in alcuni casi sono stati arrestati e incarcerati. Nel corso dell’anno, però, molte cose sono mutate: sono cambiati sia il capo del governo spagnolo che quello del governo catalano. Lo scorso luglio a Madrid il primo ministro socialista Pedro Sánchez e il presidente catalano Quim Torra, indipendentista, si sono incontrati e hanno annunciato la decisione di riattivare le commissioni bilaterali Stato-Governo catalano sospese nel 2011, e in precedenza usate per mantenere aperto un canale di comunicazione tra le parti, che restano distanti, in particolare sul diritto all’autodeterminazione. Torra vorrebbe, infatti, che il Governo spagnolo concedesse alla Catalogna il diritto di tenere un nuovo referendum sull’Indipendenza, il cui risultato venga riconosciuto da entrambe le parti, mentre Sánchez esclude preventivamente questa ipotesi.
Non si hanno notizie sull’ex presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, “rifugiatosi” da tempo a Bruxelles dopo le decisioni della Corte Costituzionale spagnola.
In una inchiesta/reportage del 28 aprile dello scorso anno sul Corriere della Sera, Milena Gabanelli e Andrea Nicastro hanno tracciato un esauriente e significativo quadro dei “separatismi” in Europa, annotando scrupolosamente i Paesi nei quali maggiormente è avvertita la spinta secessionista. In questo quadro la Sicilia non compare e non appare, nonostante che nell’Isola ci sia una notevole fioritura di centri sociali e associazioni che si rifanno all’Indipendentismo tout court: I nazionalismi indipendentistici più strutturati sono in Spagna (catalani e baschi), Belgio (fiamminghi e valloni), Gran Bretagna (scozzesi e irlandesi), Francia (corsi e bretoni), Germania (bavaresi), Italia (lombardi, veneti e tirolesi). Dentro questi grandi Stati ci sono però altre comunità che non si sentono comode. Sono i valenziani, i galleghi, gli andalusi e i canari in Spagna. I gallesi, gli abitanti delle Isole di Mann e della Cornovaglia in Gran Bretagna. I savoiardi, i baschi del Nord e i catalani del Nord in Francia. I siciliani, i sardi, i sudisti, i friulani, gli sloveni e i valdostani in Italia. Poi ci sono le minoranze etnico-linguistiche che vorrebbero ricongiungersi a quella che sentono come madrepatria. Parliamo dei greci d’Albania che preferirebbero avere Atene come capitale invece di Tirana, o le Isole Shetland che vorrebbero lasciare Londra per Oslo. Minoranze insoddisfatte sono i serbi e i croati di Bosnia, gli albanesi della Macedonia, i bulgari dalla Moldavia, gli ungheresi della Romania, della Serbia, della Slovacchia, dell’Ucraina, i 30 mila svedesi dell’arcipelago delle Åland che però appartengono alla Finlandia, e gli abitanti delle Shetland che dopo mezzo millennio vorrebbero tornare ad essere norvegesi invece che scozzesi. La Slesia vorrebbe rendersi indipendente dalla Repubblica Ceca e Polonia, mentre la Transnistria aspira all’indipendenza piena all’interno della Moldavia. Più pragmatiche le radici dell’irredentismo di Groenlandia e Isole Faroe. Per loro Copenhagen è una capitale troppo lontana.
Ora Barcellona ritorna nelle piazze a protestare, ma c’è comunque la consapevolezza che il Governo spagnolo non farà marcia indietro.